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venerdì 22 luglio 2022

Francesco e Isabella. L'età d'oro dei Gonzaga (da Laterza).


 E' in libreria  il secondo volume della serie "I Gonzaga" edita da Laterza. L'idea è offrire un racconto innovativo ma veridico della complessa dinastia virgiliana. Con questa uscita: l'età d'oro, dominata dalle figure pionieristiche di Francesco II e Isabella d'Este.



Francesco II Gonzaga, Liberatore dell'Italia.
La pala della Vittoria del Mantegna, ora al Louvre.

 Il periodo di Isabella d'Este è forse il più trattato, e anche il più romanzato. Ne testimonia una montagna di documenti (oltre 20 mila le sole lettere della marchesa, senza contare quelle del marito), una mole, come ben capirete, difficilmente dominabile. Sulla sola Isabella si è scritto di tutto e di più. Ma in verità, ad essere sinceri, qualcuno di Voi ci ha mai capito qualcosa?

 La scommessa era dunque offrire un ritratto, completo e al tempo stesso nitido, della dinastia nel momento forse più bello e difficile per l'intera Penisola: quello che vide, tra Quattro e Cinquecento, la calata dei grandi eserciti nazionali sulle traballanti signorie dello Stivale, e i piccoli, grandi principi dei nostri Stati preunitari, barcamenarsi tra armi e compromessi. Quello di Mantova fu uno dei pochi che sopravvisse, abbagliando con la sua luce l'intero continente. E' il momento in cui il marchese Francesco II Gonzaga guida gli italiani, finalmente coalizzati in una lega patriottica, alla battaglia di Fornovo: il Mantegna ritrae il bellicoso principe nella splendida pala della Vittoria (1496). Vittoria, si badi, sui francesi, sebbene oggi la Pala, ironia della sorte, si trovi al Louvre!

 Certo molto, del successo della Casata, si deve alla splendida figura di Isabella d'Este, la donna che più di ogni altra seppe fare della nascente, moderna diplomazia, un sapiente strumento politico. Ma anche la donna che rilanciò la musica italiana; promosse in Italia (in tempi di Inquisizione) la musica profana ("leggera" diremmo oggi); creò dal nulla, forse per prima al mondo, una vera collezione (di antichità, gioielli, vasellame prezioso, monete, medaglie e argenti), offrendo il modello di quella che un giorno sarà, non solo in Europa, ma persino in Russia, la Wunderkammer.

 Finora dunque non a caso i fari dei biografi (quasi tutti donne) sono stati puntati, in un'ottica forse un po' "femminista", su di lei, a tutto discapito del marito, considerato vile e spaccone. In realtà Francesco II Gonzaga è ben di più di un semplice condottiero. Egli è crudele e al tempo stesso umano: capace di feroci massacri, ma anche di improvvisarsi a difensore dei deboli; capace, in tempi di crociata (era l'epoca della cacciata dei musulmani dalla Spagna e dal Portogallo), di sbracciare pur di procurarsi un autentico turbante, e di intrecciare una fraterna amicizia (a distanza) col gran sultano dei turchi, al punto da accoglierne grandiosamente l'ambasciatore in casa. Promuove la musica sacra (diversi elementi della sua cappella passarono presto a Roma alla cappella pontificia), e inoltre il teatro, la letteratura. Grazie a lui nasce la Galleria d'Arte, che si diffonderà in Italia e in Europa. Per non parlare poi dell'equitazione: il riferimento è alla "razza Gonzaga" che, grazie all'attenzione da lui dedicata, raggiunge una qualità forse impareggiabile, al punto che si ritiene abbia dato origine al purosangue inglese (come del resto la figura del "gentleman" deriverebbe, pressoché in parallelo, dal "gentiluomo" tratteggiato dal Castiglione nel suo "Libro del Cortegiano"). 

 A fare la grandezza di Mantova sono infatti, non ultimi, anche i cortigiani. Non a caso proprio il Castiglione è figlio di una Gonzaga, Il Boiardo invece è marito di un'altra donna della casata (colei che darà alle stampe il capolavoro del marito: quell'Orlando Innamorato che tanta influenza eserciterà sulla poetica del tempo). L'Ariosto invece è parente, alla lunga, di entrambi i ,marchesi di Mantova. Ne consegue (forse) il mecenatismo della stirpe virgiliana a suo favore, e di rimando una ricaduta di immagine della Dinastia, attraverso numerosi versi e allusioni (all'interno del poema) a personaggi e ambienti che la connotano. Non è forse un caso (curiosamente trascurato dagli storici della materia) se Isabella d'Este portava il nome della nonna Isabella di Taranto, e questa a sua volta discendeva proprio dalla casata che avrebbe dato i natali al leggendario paladino di Francia.

 Insomma la presenza dei Gonzaga domina, anche senza che ce ne accorgiamo, il nostro immaginario. Con i cortigiani i principi condividono passioni e meriti: un mantovano, Merlin Cocai, figlio di questo momento storico, creerà il teatro siciliano moderno, e influenzerà la letteratura francese (nel Gargantua et Pantagruel, un classico dell'epoca). Ma cosa dire di Battista Spagnoli, che, sconosciuto ai più, arriverà ad influenzare Shakespeare e più in generale la letteratura inglese? E' inoltre a Mantova che Angelo Poliziano getta il seme del melodramma (che proprio alla corte virgiliana spiccherà il volo con le note di Claudio Monteverdi), Accanto a Mantegna sfilano infatti Poliziano, Pico della Mirandola (anche lui parente dei Gonzaga! e naturalmente morrà assassinato, come la sorella, che sarà poi la bisnonna del più celebre esponente della Casata: san Luigi), Lorenzo il Magnifico, Leonardo da VinciDürer, perfino Lutero (anche lui passa da Mantova e soprattutto vi compie una promettente semina).

 A fare la grandezza di Mantova sono però anche gli artigiani, e le famose, troppo spesso bistrattate dal turismo di massa, arti così dette "minori" (e che minori in realtà non erano). Non dimentichiamo il successo delle cuffie mantovane nel mondo (e non solo in quello europeo), e la cura destinata alla produzione e all'accaparramento di armi e armature, che fecero dell'armeria dei Gonzaga (oggi dispersa) una leggenda, ben degna di trovar posto, con tanto di dettagli, nelle pagine del libro.

 A fare la grandezza di Mantova sono anche gli ebrei e i contadini. I primi devono proprio ai Gonzaga buona parte del loro risveglio intellettuale (nella città virgiliana nasce, a cura di un ebreo, il primo trattato di regia noto al mondo). I secondi, strumento e in parte artefici, di una rigogliosa agricoltura, si ribellano ai monaci, e trovano un alleato proprio nel nostro terribile marchese. L'episodio appare come un prodromo di quella che un giorno ancora lontano sarà l'Emilia rossa.

 Per concludere: il libro vuole offrire, attraverso la storia passata, una chiave per comprendere anche l'Europa di oggi. E per pura coincidenza è uscito il 6 luglio, anniversario della battaglia di Fornovo che nel 1495 aveva imposto il marchese di Mantova sul difficile scacchiere della politica europea.

martedì 7 giugno 2022

I Gonzaga si affacciano alla scena europea.

Dieci cardinali, due imperatrici, svariati viceré. I Gonzaga hanno dato fior di personaggi. Ma come è nata la Dinastia? e come ha potuto, muovendo da un'isola del Po, conquistare il podio della politica, fino ad incidere nella storia della Chiesa, dell'Italia, delle arti?



Luca Sarzi Amadè, I Gonzaga (Laterza).


 Non solo un blog sul duca di Sabbioneta, ma su tutto ciò che appartiene al suo "mondo". Questa premessa ci consente di parlarVi ora del volume "I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento" (pagg. 32), Roma Bari, Laterza 2019 (in economica nel 2021). Non la semplice cronistoria, ma il "racconto" dell'ascesa della Dinastia attraverso i duri secoli del basso Medioevo fino al mattino del Rinascimento (narrazione che si conclude nel 1478, con la morte del più amato tra i Gonzaga: il marchese Ludovico II; sono quindi esclusi per forza di cose i secoli del massimo splendore e della decadenza).
 Breve sintesi. Dopo aver "militato" nelle file canossane, e aver armeggiato nelle burrascose "democrazie" comunali di Mantova e Reggio (ma anche nel clero) i Gonzaga, divenuti fiduciari e parenti dei signori della città (all'epoca i Bonacolsi), nel 1328 "fanno fuori" questi ultimi per impadronirsi del potere. Il colpo di Stato (non facile, ma "studiato" nei minimi dettagli) riesce. 
 Il racconto prosegue con sei generazioni di despoti, spesso in lizza tra loro, attraverso (almeno) un fratricidio, un uxoricidio, fino alla riunificazione dello Stato (che nel frattempo, per non scontentare tutti, era stato diviso tra fratelli), fino all'assoggettamento finale (alla Dinastia, finalmente monocefala) del vescovato e di tutte le più potenti istituzioni religiose (badie e monasteri) locali, all'ingresso del figlio secondogenito nel collegio cardinalizio (a soli 17 anni, a rigore insufficienti per ricoprire tale incarico), alla "rinascita" (economica, giuridica, civile, artistica, demografica) della città, dello Stato (di Mantova), insomma allo schiudersi del Rinascimento. Quest'ultimo è proprio il momento "fotografato" da Andrea Mantegna sulle pareti della Camera degli Sposi nel Castello cittadino, in quello che è considerato il primo, autentico ritratto di famiglia dell'era moderna (doverosamente riprodotto sulla copertina del libro). Come noto, in esso compaiono i principi al completo, i loro cortigiani, i domestici, i buffoni, gli ospiti (occasionali), persino gli adorati cani e un cavallo.
 Si tratta di un dipinto murale che "parla" meravigliosamente da solo raccontandoci esso stesso di più di quel che potssa fare ai nostri giorni qualunque servizio fotografico o televisivo. A tutt'oggi però, va precisato, non tutti i volti ritratti nell'Opera sono stati identificati (se non in minima parte).
 Il mito di una dinastia infatti passa in primo luogo attraverso i dipinti, anzi le sale che ne celebrano sui muri la mitologia.
 Alla Camera degli Sposi è anteriore la Sala del Pisanello (anch'essa oggi visibile a chiunque nel complesso del Palazzo Ducale), sulle cui pareti il più grande artista della sua generazione delineò, forse intorno al 1430, pagine epiche del mito (tutto nordico, eppure ai tempi ampiamente coltivato al di qua delle Alpi) di Re Artù.
 La dinastia dei Gonzaga infatti è legata a doppio filo con la leggenda del Sacro Graal, e in particolare con la vicenda del sangue di Cristo che, secondo la tradizione, Longino, dopo aver trafitto il costato del Messia, aveva condotto a Mantova, creando così le premesse per il culto della Reliquia, che i Gonzaga, nell'arco dei secoli, seppero sfruttare (in senso religioso, economico, politico) a proprio beneficio. Tale tematica, forse all'apparenza esoterica, costituisce il perno ideale dell'intera vicenda narrata.
 E' spesso difficile separare un mito dall'altro, e soprattutto la storia dal mito.
 Tuttavia è poco noto al grande pubblico che la dinastia disponesse anche di un proprio labaro. Proprio alle pareti della più antica tra le due sale, un occhio attento può individuare ancora oggi, nitidissime, le fattezze di un nano a cavallo, pavesato nei colori verde, bianco e rosso, a fasce verticali (incidentalmente gli stessi che vediamo oggi nella bandiera italiana). Forse infatti è soltanto un caso che proprio in una città sanguinosamente dominata nel corso del '300 dai Gonzaga (i quali ne edificarono, e certamente istoriarono, una poderosa cittadella, oggi non più esistente) -parliamo adesso, è ovvio, di Reggio Emilia-, sia nato, il 7 gennaio del 1797 il nostro, attuale, Tricolore.
 

domenica 26 novembre 2017

Finalmente una moderna biografia di Scipione Gonzaga

E' in libreria, per i tipi di Odoya, la biografia "Scipione Gonzaga, vita burrascosa e lieta di un aspirante cardinale del Cinquecento". L'avventurosa vicenda di un cadetto che, dietro le quinte, contribuì all'affermazione della nostra lingua, e della nostra identità nazionale.



Scipione Gonzaga fu amico di Torquato Tasso, del Palestrina e di San Luigi.
La vicenda si svolge in particolare a Padova, Mantova, e Roma, ma anche in Germania.


 Poeta o spadaccino? Mecenate o diplomatico? Uomo di chiesa o d'armi? Ecclesiastico o guerriero? In realtà Scipione Gonzaga fu ben di più: ebbe un ruolo di primo piano nel fermento che in quel secolo portò all'affermazione di quella che oggi è la lingua italiana (e, possiamo aggiungere, della nostra identità nazionale). Il suo ruolo di mecenate permise ad alcuni tra i migliori talenti di incontrarsi e di affinare le proprie abilità; tra questi Torquato Tasso e Battista Guarini. Egli infatti coordinò la revisione de "La Gerusalemme Liberata", contribuendo in modo significativo alla scelta dei vocaboli, e determinando così, per l'immediata, enorme diffusione dell'opera, il lessico che noi usiamo ancora oggi.
 La narrazione ripercorre la perdita del padre, le insidie del tutore (un parente -il celebre duca di Sabbioneta!- che, approfittando del ruolo, intendeva spogliarlo dell'eredità), gli studi compiuti lontano dalla famiglia (ma con tutte le preoccupazioni del caso) a Padova. Infine la corsa al cardinalato, trascorsa tra gli ozi letterari, le battaglie giudiziarie, e gli sgambetti di parenti e falsi amici. Insomma il libro vuole aprire, attraverso le vicende del Protagonista, uno spaccato dell'Italia di quei tempi, un'Italia straordinariamente fertile di idee, ma traversata dal crescente incubo dell'Inquisizione, e minacciata dalla prorompente espansione dell'impero islamico (è qui che si colloca non a caso il successo del Tasso, i cui meriti vanno condivisi col Gonzaga), un'Italia ricca di speranze, e dove prendeva corpo, in una fase ancora embrionale, l'idea di un'unica nazione, di un mondo dove tutti pagassero i tributi, dove fosse posta in discussione persino la proprietà privata.


San Martino dall'Argine ospitò tra gli altri Torquato Tasso.
San Martino dall'Argine (Mantova): dove sorgeva il castello del Protagonista (da wikivoyage.org, lic. CC BY-SA 3.0) 


 E' l'Italia di un altro grande Gonzaga, san Luigi, la cui breve esistenza si intreccia con quella del cugino Scipione, con cui condivide alcuni episodi davvero focali della sua esistenza (il libro, ricordiamo, non è affatto un romanzo). Nel corso della lettura emergono però anche i rapporti del mecenate cinquecentesco con altre grandi figure dell'epoca, come Pierluigi da Palestrina, il più celebre compositore dell'epoca, e Federico Borromeo, il fondatore della Biblioteca Ambrosiana (che è seconda al mondo solo alla Vaticana), o come i santi  Carlo Borromeo e Filippo Neri.
 Si è inoltre voluto rendere giustizia a molti nomi oggi dimenticati che ai loro tempi conobbero il dovuto rispetto. Un'indubbia riscoperta è il segretario del Protagonista, Giacomo Pergamini, l'artefice del più evoluto vocabolario della lingua italiana che, privo di validi precedenti, nell'arco del secolo successivo, il XVII, tenne testa al celebre, ma più recente, Vocabolario della Crusca. Si tratta di un aspetto della nostra storia linguistica generalmente sconosciuto anche agli addetti ai lavori.
 Ma il Gonzaga va ricordato anche per i suoi contributi alla formazione di grandi collezioni d'arte come quella dei duchi di Mantova, o quella degli Uffizi a Firenze. Inoltre egli fu grande esperto di cavalli, di musica, compositore egli stesso, incaricato dal più potente rappresentante della sua dinastia (di colui cioè che portò il ducato virgiliano alla massima prosperità), Guglielmo Gonzaga, di ingaggiare i migliori musicisti del suo tempo.
 Il libro ha una storia curiosa: fu scritto oltre vent'anni fa, nell'arco di un triennio, su commissione di un ente pubblico, che poi, come spesso accade in Italia, non ne fece nulla; in questo lasso di tempo è stato così riveduto più volte dall'autore, ed ora esce per la prima volta nelle librerie.
 Per aggiornamenti potete seguire la relativa pagina Facebook: https://www.facebook.com/ScipioneGonzaga/

sabato 3 dicembre 2016

La discussa fine del figlio Luigi.

Una delle "ombre" che avvolgono la figura del Duca di Sabbioneta è costituita dal sospetto che egli avesse ucciso, con un calcio, l'unico figlio. Una circostanza che non è mai stata gradita alle autorità locali. Il prof. Franco Canova, storico, ne parla con l'Autore del libro. 


Il cugino omonimo di San Luigi
Luigi Gonzaga di Sabbioneta

Sarzi Amadè, è vero che Vespasiano Gonzaga uccise il figlio con un calcio?

E' quanto sostiene una versione ottocentesca, di quasi tre secoli posteriore, e dunque poco credibile. Stando ai documenti, la morte del giovanetto appare sospetta. Infatti Luigi Gonzaga morì a quattordici anni, e tuttora si conserva il suo testamento. Un particolare inquietante: mi dica quale ragazzo di quattordici anni può mai pensare di fare testamento! E' chiaro che si tratta di un falso. Infatti esso contiene disposizioni del tutto rituali, che si conciliano poco con l'età del soggetto.

Perché il testamento sarebbe falso?

Un fanciullo di quattordici anni, di norma non aveva alcun bisogno di fare testamento, perché non poteva ancora disporre di beni (a maggior ragione se il padre era vivo). Questo fu evidentemente dettato dal genitore, o dai giuristi, quando il ragazzo era appena morto: probabilmente essi ricordarono al Duca l'importanza di dimostrare con un documento legale che il figlio era spirato serenamente. Ma in un certo senso il testamento stesso lo dice...

Dunque il testamento stesso lo rivelerebbe?

Il notaio scrisse testualmente che il fanciullo volle di propria iniziativa fare testamento (pensate: a quattordici anni compiuti!) "affinché dopo la sua morte non sorga scandalo". Ora, premesso che la morte di un adolescente era molto comune all'epoca (non c'erano certo gli antibiotici!), perché mai nel caso di Luigi Gonzaga avrebbe dovuto provocare scandalo? Una morte per una malattia conclamata non era certo scandalosa, ma prevedibile. Inoltre siamo obbiettivi: ce lo vedete un ragazzo di quattordici anni conscio della morte imminente, sotto l'incrudire della febbre, che si preoccupa dello scandalo che seguirà al suo decesso? Chiaramente è un falso.


Un caso "proprio" della criminologia
Il cranio di Luigi Gonzaga, figlio del Duca.

Ma ciò che senso poteva avere?

Non possiamo sapere questo. Ma soltanto supporlo: evidentemente le cause della morte non erano del tutto limpide, e avrebbero potuto ingenerare complicazioni legali e politiche.

Il ragazzo dunque non morì di una comune malattia?

Se così fosse stato, dovremmo desumerne che il padre avesse informato il figlio, malato, che stava per morire, dandogli la possibilità di "testare". Ma ciò evidenzierebbe una crudeltà sconosciuta, penso, a qualsiasi padre.


Eppure, nei convegni a cui non L'hanno mai invitata, è stato sostenuto che, in base all'esame delle ossa, il ragazzo non poteva essere morto per un trauma fisico.
Questo fatto che il Duca possa avere ucciso (ricordiamo: del tutto accidentalmente!) il proprio figlio, non sembra molto gradita in loco. Dispiacerebbe che prevalesse la tentazione di usare il fondatore della città ideale come un'icona mediatica. Già negli anni Settanta fu propugnata la versione "pulita", e nel 1988, con il ritrovamento delle ossa, e dunque l'esame dei reperti, è stata commissionata un'analisi. Ma questa ha constatato il cattivo stato di conservazione delle ossa (al punto che, a detta degli esperti, non si potrebbe più neppure isolare il Dna), senza individuare le cause della morte, che rimangono sconosciute. Vorrei rimarcare che, in circostanze del genere, verità propinate come assolute, perdono, a mio avviso, di credibilità scientifica. La scienza diffida della parola "certezza".

Perché Lei, pur occupandosi da una vita di Vespasiano Gonzaga, per oltre vent'anni non è mai stato coinvolto in convegni e dibattiti sul personaggio da Lei riscoperto?

Temo che la risposta possa in parte dipendere da quanto si è detto; forse avrei potuto essere di disturbo.


Cosa può far pensare a una morte violenta?

La leggenda divulgata nell'800, secondo cui il Duca uccise il figlio con un calcio, è scarsamente attendibile. Ma ciò non significa che sia infondata. Non dimentichiamo che il Duca, in seguito alla tragedia, costruì, tra la sua città e il santuario dei Cappuccini, una propria residenza che chiamò Il Giacinto, dove negli ultimi anni della sua vita amava ritirarsi in cerca di solitudine. La simbologia di nomi e luoghi è eloquente.


Come si spiega il nome "Il Giacinto"?

E' un altro mistero. Ma ci sono due punti fermi: in Val Padana questo tipo di fiore non esiste; e nelle residenze del Duca i temi ricorrenti alludono alla storia romana e alla mitologia classica. In mitologia Giacinto è appunto l'amico che Apollo aveva ucciso involontariamente, giocando, e aveva trasformato nel fiore. Altri significati simbolici o allegorici non sono conosciuti. Il paradosso è che gli autori ottocenteschi che riferiscono la leggenda della morte accidentale di Luigi, mostrano di non avere alcuna consapevolezza che fosse esistito il Casino del Giacinto.

Quindi?

Quindi restano dubbi, inquietanti, ma pur sempre dubbi, sulle cause della morte. Uno storico non può allinearsi a direttive o tendenze.

 

giovedì 10 marzo 2016

Di nuovo il libro "Il duca di Sabbioneta" in televisione

Martedì 15 marzo, ore 14, l'Autore sarà di nuovo ospite in diretta di Stefano Golfari su Milanow (canale 191 del digitale terrestre). Tema: luci ed ombre del duca "maledetto". 



Sarzi Amadè parla di ricerche genealogiche



 In vista del periodo pasquale Luca Sarzi Amadè, autore del libro "Il duca di Sabbioneta" (premio letterario "Il Ponte" 2014) sarà nuovamente ospite di Stefano Golfari. Il popolare conduttore intratterrà il biografo di Vespasiano Gonzaga in una conversazione su alcuni temi del libro, che ci permettono di meglio comprendere, attraverso l'epopea del protagonista, anche la realtà attuale dell'Europa, oppure che suscitano curiosità nel pubblico (come i misteri legati alla morte della prima moglie e a quella del figlio). Nei mesi scorsi Sarzi Amadè ha avuto modo in varie occasioni di interloquire con i telespettatori, a proposito dei suoi libri. Tra questi "L'antenato nel cassetto. Manuale di scienza genealogica" (con prefazione di Franco Cardini, e  edito anch'esso da Mimesis) che si propone di aiutare tutte le persone interessate, a prescindere dal grado sociale e culturale, a svolgere ricerche genealogiche, o anagrafiche, in qualunque  tipologia di archivio, anche all'estero.

lunedì 23 novembre 2015

Un'evocazione del Casino del Giacinto?

Intorno al 1590 il duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, si fece costruire, nel mezzo della tenuta di Bosco Fontana, un Casino. Lo progettò un architetto cremonese, Giuseppe Dàttaro, che forse si ispirò al Casino del Giacinto di Sabbioneta, oggi scomparso.




Progettato da Giuseppe Dattaro per Vincenzo I Gonzaga
Il Casino del Bosco Fontana (ph. by Salvatore Minniti)




 Nel gennaio del 1580 il duca di Sabbioneta fu sconvolto da una terribile tragedia personale: la perdita, in circostanze tenebrose, mai chiarite, dell'unico figlio maschio, Luigi, da lui tanto desiderato. Il duca infatti non aveva fratelli consanguinei; non esistevano quindi altri discendenti di suo padre Rodomonte, e neppure del nonno Ludovico. Il figlio, "bellissimo" secondo le testimonianze, era quindi destinato a succedergli alla guida dei suoi Stati. Ciò apriva nuovi scenari successori sul confine tra il ducato di Mantova e i dominii spagnoli in Alta Italia.
 Negli anni immediatamente seguenti, il duca Vespasiano Gonzaga costruì, poco fuori le mura di Sabbioneta, anzi tra il castello (dove il figlio aveva trascorso i suoi ultimi giorni) e il santuario dei cappuccini (che il Duca stesso aveva voluto nel periodo della propria permanenza in Spagna), un singolare edificio, denominato Casino del Giacinto.
 Palazzi e affreschi della "città ideale" erano per lo più ispirati a temi della classicità greca e romana. Il nome di Giacinto evoca infatti la leggenda di Apollo, che, secondo la leggenda, durante una gara di lancio del disco, avrebbe involontariamente colpito l'amico e compagno di giochi Giacinto, provocandone la morte. Addolorato dell'incidente, il dio aveva creduto di riparare al danno commesso, trasformando, con i suoi poteri magici, l'amico in un fiore, i cui petali evocano la sagoma della lettera Y, iniziale, in greco, appunto del nome Giacinto. Proprio questo tipo di fiore infatti è caratteristico dei climi secchi, mediterranei, dunque non della Valpadana.




Forse Giuseppe Dàttaro si ispirò al Casino di Sabbioneta
Il Casino del Giacinto, fuori di Sabbioneta (in una mappa del '600)



 Del curioso edificio abbiamo poche testimonianze. Una carta seicentesca mostra la sommaria planimetria della cerchia murata di Sabbioneta, e parzialmente, ai margini del disegno, un Casino con torri cilindriche agli angoli. Esistono inoltre alcune rudimentali descrizioni risalenti ai primi decenni del '600, cioè a pochi lustri dopo la morte del Fondatore. Sappiamo che Vespasiano Gonzaga era solito replicare, nella città da Lui ideata, edifici visti nel corso dei suoi viaggi in Europa. Alcuni esempi sono il Teatro, la Galleria degli Antichi, il Palazzo Ducale. Non sappiamo però quale prototipo avesse ispirato il Casino del Giacinto, per il quale gli storici dell'arte propongono un modello francese, sebbene il Duca non avesse attraversato la Francia che due volte, per raggiungere frettolosamente l'amata Spagna (una di queste ancora fanciullo), ed un'altra per ritornarne. Viaggi compiuti in condizioni difficili, e in tempi limitati, che ben difficilmente gli avrebbero consentito di soffermarsi a contemplare, e a ritrarre, monumenti.
 Se il Casino di Sabbioneta è ormai perduto, conosciamo tuttavia in ambito gonzaghesco una palazzina analoga. Parliamo del Casino del Bosco Fontana. Questo fu costruito intorno al 1590, quindi un decennio più tardi, al centro del ducato di Mantova. Committente il duca Vincenzo I Gonzaga, cugino alla lunga di quello di Sabbioneta. Progettista Giuseppe Dattaro, detto Pizzafuoco, un architetto di razza, rampollo di una famiglia cremonese di architetti legata allo straordinario cantiere della Cattedrale di Cremona. Ma anche ai Gonzaga di Guastalla, che, come il cugino di Sabbioneta, andavano costruendo allora, sulle rive del Po, anch'essi una propria "città ideale". Proprio il Casino di Bosco Fontana potrebbe essere -ricordiamo: in via del tutto ipotetica- una replica, non sappiamo se e in quali termini, del precedente, scomparso Casino di Sabbioneta.

giovedì 29 ottobre 2015

Domenica 8 novembre, ore 11, a pranzo con i Gonzaga

L'evento è stato annullato il 2 novembre a causa di un improvviso lutto che ha colpito uno degli organizzatori. L'iniziativa è quindi rinviata a data da destinarsi.



La strada che va al Bosco Fontana (da Google Maps)..